lunedì 3 novembre 2025

Due Emanueli e un cannonau






Circolando in rete mi sono imbattuto in una intervista ad Emanuele Filiberto di Savoia; uno che, con Raoul Bova, faceva svenire signorine negli anni novanta. E mi è venuto un pensiero bizzarro: Non avessimo avuto il fascismo, questo, oggi, sarebbe Re d'Italia.
Il tono d'insieme dell'intervista era memorial-moralistico: il sempre affascinante Principe (53enne) ci ha parlato - con discrezione - di possibili discese in campo: “Come per gli alcolisti: 'Per oggi non bevo'. La politica può essere una dipendenza. Oggi dico no. Ma domani non si sa”; del padre (deceduto); della madre (novantenne); dell’ex-moglie (mollata); per poi virare, alla fine, sul meditativo: “Io non ho paura della morte. Ho paura delle malattie e della sofferenza”.
D’improvviso mi è apparso un altro Emanuele, filosofo di professione; il Severino, per lunghi anni esclusivista in Italia (isole comprese) della premiata ditta Heidegger. E un' intervista rilasciata in extremis, con l’ammonimento a non confondere la morte con l’agonia. L’agonia esiste perché fa parte della vita. La morte non esiste. Nessuna cosa si annienta: tutto rifluisce nell’Essere. Lapalissiano.
Immagino un Filiberto consenziente.

E qui mi è balenata una terza scena: una scampagnata con amici, a trent’anni, sui monti di Campuomu (Ca); quando, dopo congrua auto-somministrazione di salsiccia arrosto ed etanolo cancerogeno (Cannonau), mi parve di sentire, nel dopo-pranzo, la vecchia foglia di un albero dialogare con una più giovane, “Io non ho paura di staccarmi dal ramo. Ho paura di seccare”.
Riferii la cosa agli amici; ricordo – ancora come fosse ora – un commento, “Tu ses' tottu accannonau”.


martedì 28 ottobre 2025

Quando l'idealismo porta dritto in galera


 



Come ben sanno garlascomani, criminologi per hobby, patiti dell'horror e videodipendenti, “Errare humanum est”. Dopo 17 anni e tre gradi di giudizio, una Procura della Repubblica ha rimesso tutto in discussione su “Garlasco”: forse in carcere è finito un innocente. Forse. La cosa ha messo a rumore mezza Italia e gli appuntamenti fissi in Tv sono trionfi di audience.
Con rumore più modesto, sabato 18 ottobre, a Lecce, la Polizia di Stato ha prelevato e condotto in carcere Gabriella Cassano, un avvocato. Si è così chiuso il lungo iter giudiziario che aveva al suo centro la figura di Marta Garofalo Spagnolo e sullo sfondo il sempre più – a dir poco – inquietante istituto della Amministrazione di sostegno. La Cassano è stata condannata – in via definitiva – per avere, in concorso con il suo compagno Fabio Degli Angeli ed altri, circonvenuto, sottratto, sequestrato e abbandonato un' incapace; la citata Garofalo, all'epoca dei fatti ventisettenne.

Marta Garofalo Spagnolo nasce nel 1991 da una relazione occasionale e vive infanzia e fanciullezza presso i nonni materni, in un quadro familiare di ristrettezze, degrado e assenza di stimoli: non ha mai conosciuto suo padre e intrattiene con la madre (Spagnolo) un rapporto discontinuo e spesso conflittuale. Con la morte del nonno Ercole la situazione si deteriora ulteriormente. Nel 2010, quando ha 19 anni e sta frequentando il Liceo Pedagogico Siciliani di Lecce, chiede alla madre di conoscere l'identità di suo padre, e saputala, va a trovarlo e gli rivela di essere sua figlia: i due parlano, si rivedono, comincia una frequentazione. Il padre naturale (Garofalo) manifesta l'intenzione di riconoscerla legalmente.

L'aver passato gli anni cruciali della sua formazione in una situazione di vuoto di riferimenti affettivi forti, ha, però, segnato profondamente la personalità di Marta, che, come due successive perizie psichiatriche stabiliranno, soffre di un “lieve/moderato deficit cognitivo”, che è conseguenza della deprivazione affettiva e socio-culturale in cui è cresciuta. Il che significa che non è un soggetto incapace di intendere e di volere, ma “indebolito”; cosa che in teoria lascia prospettive di recupero indefinibili.
Le tensioni familiari intanto non cessano: disturbi fisici e momenti depressivi inducono Marta a chiedere aiuto ai Servizi sociali del suo Comune. È il passo fatale: i medici prescrivono psicofarmaci; ma lei, dopo averli sperimentati, comincia a fare resistenza; non vuole assumerli, afferma che quando lo fa si sente meno sveglia. I Servizi sociali, a questo punto, la segnalano al Giudice tutelare chiedendo la nomina di un Amministratore di sostegno. La Legge che nel 2004 - con travolgente successo di numeri - è stata introdotta in Italia, consente questa soluzione "prêt-à-porter".
Marta - che di lì a poco conseguirà il diploma - continua a vedere suo padre, che conferma di volerla riconoscere. Per questa ragione, ma anche al fine di impedire la nomina di un Amministratore, il Garofalo, su consiglio di Degli Angeli (suo conoscente), si affida all’Avv. Cassano. Il 17 febbraio 2011, davanti al Giudice, Marta dichiara,

“Non ho bisogno di un amministratore di sostegno Con mia nonna litigo spesso perché spesso mi manda a dire cose a mia madre e questo non mi va. Esco con mio padre Garofalo Luigi, mi reco a Carmiano dove mi incontro con delle amiche in casa loro: Margherita e Marietta. Frequento il Liceo Psicopedagogico a Lecce. Mi hanno prescritto una terapia farmaceutica in compresse e gocce ma non la voglio assumere perché quando non la assumo sono più sveglia”.

Tutto invano: inspiegabilmente ignorata un'istanza di perizia psichiatrica, nel luglio 2011 viene nominato l'Amministratore (un avvocato); e nell'ottobre dello stesso anno Marta entra in una “Struttura” (vengono amenamente definite “case-famiglia”). Nel gennaio del 2012, la prima fuga: si fa 4 km a piedi e raggiunge, in un paese vicino, la casa di uno zio; che avvisa i Carabinieri. Da questo momento, fughe e tentativi di liberarsi si susseguiranno nel tempo.

La situazione si trascina per anni: tra contatti sempre più impediti, tensioni, contrasti, contestazioni, battaglie legali; il padre continua la sua azione per il riconoscimento, mentre Cassano e Degli Angeli, per loro conto, finiscono per affezionarsi e provare pietà per questa infelice disperata – ma anche sdegno per il sistema che la incastra – ; e per determinarsi a fare qualcosa per liberarla. Nell'ottobre del 2017, Marta scappa di nuovo dalla Struttura: i Carabinieri la ritroveranno a otto chilometri di distanza. Nello stesso anno, Garofalo è divenuto anche legalmente padre.

La “partita” intorno alla vita della cittadina italiana Marta Garofalo Spagnolo approda ad un passaggio cruciale nel gennaio 2018.
Decisi a presentare istanza per la revoca - o, in alternativa, la sostituzione - dell' Amministratore di sostegno, allo scopo di sottrarla a prevedibili pressioni che potrebbero distoglierla da qualcosa che ha sempre manifestato di desiderare (essere libera), Degli Angeli e Cassano compiono un pericoloso azzardo: il 14 gennaio si recano in visita presso il reparto psichiatrico dell' Ospedale leccese dove Marta si trova provvisoriamente; e la fanno allontanare con loro. L’interessata firma la richiesta di revoca/sostituzione dell'AdS: nel caso la decisione si dovesse orientare verso la sola sostituzione, il primo nome proposto è quello di S., una vecchia amica di Marta; in seconda battuta la Cassano propone se stessa.
Il 25 gennaio si svolge l’udienza: il Giudice ordinario è, però, assente, e il supplente, vistane la delicatezza, preferisce congelare la cosa sino al rientro del collega. Durante l’udienza, in aula entra un agente di Polizia che consegna alla Cassano e a Marta una convocazione in Procura. È stato aperto un fascicolo penale. Pochi giorni dopo, il Giudice titolare rigetta il ricorso e riaffida la ragazza alla struttura e all’Ads in carica.

Naturalmente, per i “rapitori” Cassano-Degli Angeli le cose prendono a mettersi male. Il PM che indaga sulla scomparsa di Marta, li accusa di sottrazione, sequestro, abbandono e circonvenzione di incapace. Per qualche tempo vengono trattenuti in stato di arresto.

Ciò che li “inguaia” definitivamente è l’incidente probatorio del 3.7.18, durante il quale “la circonvenuta” fa esternazioni – siamo a 6 mesi di distanza dai fatti – che accreditano le ipotesi dell’Accusa: prende le distanze dagli amici liberatori: “mi hanno presa dall'ospedale senza l'autorizzazione dei medici” (in precedenza, al PM aveva detto: “me sono scappata dall'ospedale, è vero; però non ho fa… non ho ammazzato nessuno”); rivede la sua valutazione sull' AdS, cui ora dice di volere “tanto bene che la chiamo pure mamma”; rimarca l'imprudenza dei Cassano-Degli Angeli: “Fabio e Gabriella non avevano capito che io senza farmaci non riuscivo a stare per troppo tempo”.

Questa ed altre prove portano il Giudice di primo grado a decidere per la condanna: 4 anni e sei mesi ciascuno. Naturalmente ricorrono. Ma anche il Giudice d'Appello giunge alle stesse inesorabili conclusioni (con “certezza granitica”): quando vanno a trovarla in ospedale per farla uscire, la ragazza non è capace di autodeterminarsi e dunque l’agire degli imputati è una manovra dolosa tesa a suggestionare una persona inabile a comprendere la realtà; e soprattutto a resistere ad una altrui volontà che le appaia solida e rassicurante.
Il movente del disegno criminoso? È evidente: “unico e precipuo” scopo dei due, era quello di “ottenere la nomina della Cassano quale amministratore”; e ciò al fine di poter gestire le disponibilità economiche della assistita.

Tutto chiaro? Ho voluto leggere integralmente le motivazioni della sentenza di condanna in appello: è un testo ampio, articolato, dettagliato, ricco di riferimenti dottrinali e scientifici; 74 fitte pagine di argomentazioni ben scritte, elaborate, organizzate.
Eppure, terminata la lettura, non ho potuto fare a meno di provare un senso di sospensione. E mi è tornato in mente un mio conoscente, il barista che per buoni vent'anni mi ha servito la colazione nel bar sotto casa; un artista del disegno sulla schiuma del cappuccino; uno dal curriculum scolastico breve (un primo anno di superiori) ma dal “discorso lungo”; Luca, un uomo comune; ma con una qualità che, in vent'anni d'ascolto, mi si era fatta sempre più chiara: un fiuto spontaneo per l'illogico, Momento! … la cosa non mi quadra. Questa la sua tipica uscita.

Studiare una vicenda giudiziaria è un lavoro temibile: lunghi lassi di tempo, molti protagonisti, accumularsi di infiniti dettagli, interpretabilità delle situazioni, versioni divergenti, ambiguità, imbrogliarsi delle cose. Non invidio Giudici e Avvocati: c’è spesso di che sviluppare un mal di testa.
Qualcosa che non quadra nella sentenza d'appello? Possibile. Isoliamo soltanto tre cose :

1) La ragazza viene, di volta in volta, definita, “soggetto altamente suggestionabile”, “altamente vulnerabile”, “influenzabile”, “manipolabile”; in una condizione di “inferiorità psichica” e “dipendenza”; incline “ad affidarsi ciecamente e totalmente a chiunque le garantisse, o anche solo promettesse, attenzione e cura”.
Ma se una persona è strutturalmente così, non è ragionevole supporre che resti così, chiunque sia il soggetto che ha di fronte? (amici, avvocati, medici, pubblici ministeri, poliziotti, infermieri, gestori di case-famiglia, giudici, etct etct). È sufficiente che chi le sta davanti appaia forte, “vincente” e “dispensatore di sicurezza”.
Se questo è vero, allora per capire cosa vuole veramente Marta, bisognerebbe tenere conto solo di quel che fa quando è sola; cioè quando fugge senza portarsi dietro gli psicofarmaci.
Ed ora una domanda spontanea: niente niente, realizzato che gli “altri” erano dei perdenti (addirittura nei guai), Marta si è riposizionata per compiacere i soli che potevano ancora proteggerla?

2) Il movente dei rei sarebbe la volontà di appropriarsi delle disponibilità economiche della Garofalo: la sentenza le specifica: Marta dispone, mensilmente, di 250 euro di pensione di invalidità civile e di 500 di indennità di accompagnamento; su un libretto postale a suo nome sono poi depositati 9000 euro. Dei due principali attori di questo giudizio, uno fa l'avvocato, l'altro ha un posto in ditta (la falegnameria di famiglia): si sarebbero esposti a gravi conseguenze materiali, allettati da questo patrimonio e dopo anni di preparativi?
Anche qui una domanda spontanea: niente niente, avessero, “i rapitori”, agito con lauta dose di temerarietà, ma per puro idealismo?

3) Unico scopo di uno dei condannati era farsi attribuire il ruolo di AdS. Ma se si ripassano le fitte fitte 74 pagine, si scopre che nell'istanza al Giudice tutelare, questa unicità non esiste: prima di indicare se stessa come nuovo gestore di quel po' po' di patrimonio, la Cassano dà precedenza – nell'ordine – a : 1) la revoca; 2 ) la nomina della amica S.
Ancora una domanda spontanea: niente niente, non coltivasse, l'avvocata, alcun basso interesse personale?

Dice un vecchio adagio della Civiltà giuridica anglo-sassone che per condannare qualcuno si deve raggiungere quella condizione mentale consistente nel trovarsi al di là di ogni ragionevole dubbio. È successo, in questo caso? Decida il lettore.

Un ultimo dettaglio: il 3 novembre 2022 Marta Garofalo si è suicidata in Struttura, ingerendo una massiccia dose di psicofarmaci. Infarto fulminante. È fuggita per l'ultima volta. Senza che nessuno la influenzasse.


mercoledì 7 maggio 2025

Tutti pazzi per il comignolo


Lo spettacolo ha una sua “oggettiva”, sfuggente oscenità. Splendenti Cardinali, lindi, stirati e incappellati e, subito dopo, ragazzini coi capelli impiastricciati di sporcizia, a mani tese, sgomitanti per una scodellata di riso.
Sono i TG di questi ultimi giorni. Compiaciutissimi giornalisti da salotto ci raccontano dotti e meno dotti dettagli (cum-clave, extra-omnes, fumate, stufe, comignoli, coloranti); finissimi vaticanisti – primi attori ad ogni morte di Papa – discettano sui papabili.

Mentre la Tv di massa fa consumare - alle masse - il brivido della profondità dei secoli e della maestà dei luoghi, a 2300 Km di distanza piloti militari sopra jet da milioni di dollari, inquadrano una casella di tendopoli gazawa dove risulta nascondersi un capo di Hamas. Che nella casella ce ne siano altri 30 che non c'entrano niente, non rileva. È la ragion di Stato.
La citata Hamas (che poche settimane fa, con ridicolo rituale viriloide, ancora esibiva ostaggi liberati e “certificati”) fantastica, intanto, di tregue di cinque anni e – si suppone – pensa voluttuosamente a quanti tunnel si potrebbero restaurare con tanto tempo a disposizione.
Su cosa siano costate quelle 36 h di ubriacatura super-omistica, a scannare, stuprare e mutilare civili ebrei, il 7 ottobre, non si interroga. Sarebbe troppo sforzo di meningi. Quel che conta è che la faccenda continui. Possibilmente all'infinito. Cosa ben capita dai diretti interessati; che in misura cospicua vorrebbero andarsene.

Nel frattempo Bibi, leader maximo “dell'unica democrazia del medio oriente”, annuncia l'invasione del nord della striscia; e precisa che sarà massiccia. Non scherza, lui; i distintivi brillanti sul bavero, lo certificano. Per l'ennesima volta, i gazawi stipano di masserizie i loro carri su pneumatici, tirati da poveri asini locomotori (gli toccherà qualcosa da mangiare?). Ennesima migrazione interna. Aiuti umanitari bloccati da due mesi, a milioni senza cibo, acqua, cure mediche, igiene; 50000 morti per la guerra; malnutrizione galoppante; decessi per inedia e ipotermia; le città ridotte in macerie. Ma la TV ci parla del comignolo. A quando il nuovo Pontefice? Non perdete di vista il comignolo.

Dall' Aia è venuto l'ordine di far cessare condotte che innegabilmente rientrano nella categoria del genocidio. A Tel Aviv, l'ultradestra amabilmente se ne fotte. A Gaza sono sotto-uomini.
Nella follia generale, ogni tanto qualche lampo di coscienza: Abu Mazen definisce “figli di cane” - da quelle parti, sanguinoso insulto - i capi di Hamas e gli urla di rilasciare gli ostaggi; un Generale israeliano sfida i fanatici criticando apertamente l'idea di una occupazione militare definitiva. Intanto a Roma i Cardinali sfilano.

Verso marzo, ogni anno, il programma mi portava a parlare dell'Olocausto. Facevo l'insegnante. Son contento di non dover provare l'imbarazzo di parlarne oggi.

venerdì 9 agosto 2024

It's a kind of magic



All'uomo col gatto morto in testa piacciono i maschi alfa come lui: Putin è smart; Xi Jinping è smart. Forse è smart pure Kim Jong, il ciccione con il vizio dei missili. A parte questo, stessero, però, tutti molto attenti. Non scherza, Lui.

Avesse Vladimiro, invaso l'Ucraina con me alla Casa Bianca, avrei fatto bombardare Mosca. Stesso trattamento con Pechino, se Xi si azzardasse a Taiwan. Per il resto Xi è un figo: governa col pugno di ferro 1 miliardo e quattro di persone. A proposito di ferro, mi sono preso una pallottola per la Democrazia. Nessuno lo dimentichi. Un “grazie” allo sfigato senza mira – riposi in pace – : insieme ad un balzo nei sondaggi, c'ho la foto della vita; capace che tra 10 anni batto pure Che Guevara. Per Gaza e l'Ucraina, ci penso io: tempo 24 h e risolvo. Biden? Un rincretinito. La Harris? Una Pazza. Tim Walz? Un comunista. Le elezioni? A novembre vinco sicuro; e se non dovessi vincere, sarà un bagno di sangue. Quanto al riscaldamento globale, rilassatevi; è colpa del Sole. Già successo. Smettere col carbone e il petrolio rovinerebbe l'industria. E poi, se il livello degli oceani dovesse salire, non sarebbe un gran danno; avremmo più case vista mare.

Ecco, tratta da esternazioni più o meno recenti, una libera sintesi del pensiero dada-futurista di Donald Trump; per la seconda volta candidato alla presidenza degli USA, il paese più sviluppato del pianeta.

Una domanda sorge spontanea: ma il trumpiano di media intelligenza non nota il dilettantismo logico e morale? Evidentemente no; e questo perché appena “pensa politico”, egli transita dal mondo logico nel pensiero magico. Il quale non si cura di contraddizioni (sono un martire della democrazia combina poco con, grande Xi, governa col pugno di ferro); salta i mediatori fisici (faccio finire la guerra in Ucraina in 24 h., senza dire come); inventa nessi (è colpa del sole)
Una volta, una civetta che di notte ti cantava vicina, era segno di malaugurio (fulmini, briganti, malattie); le congiunzioni astrali causavano epidemie e la combustione, si pensava dipendesse da una misteriosa sostanza (il flogisto) rilasciata dalle cose che bruciavano. Fluidi, partecipazioni, materie occulte, azioni a distanza, simpatie. Mentalità superata? Non proprio del tutto.

Verosimilmente, pochi elettori trumpisti metterebbero risparmi, vie urinarie e figli, nelle mani di un consulente finanziario, un chirurgo-urologo o un insegnante dalla cui bocca fossero uscite balordaggini come quelle sopra riferite. E ciò perché i rapporti di causa-effetto, in questi casi, sono troppo immediati (soprattutto per le vie urinarie). Diverso per la politica, dove tutto sfuma nell'astratto, nel difficile, nel remoto: aliquote fiscali, medio-oriente, sanità pubblica, fonti energetiche, Ucraina, dazi, bioetica, migrazioni.

Avrei fatto bombardare Mosca. Ci sarà stato un solo trumpista – uno che sia uno – che si sia chiesto, “Ma poi abbiamo mediatori fisici (contraerei) adeguati? Quel tipo, al Cremlino, pare sia uno che se la lega al dito”. Chissà.
In un mondo sempre più aperto, minaccioso, imbrogliato, Donald Trump è per la classe media bianca il Protettore magico (Fromm, 1941), lo Sciamano. Al posto di addobbi cornuti sulla testa, maschere, amuleti, pendagli e vistose pellicce, brandisce Boeing 757, Torri pacchiane, rubinetti d'oro, parlata dura e gesticolio da macho. Nel novembre 2016, cow-boys e operai middle class, regredendo al pre-logico-infantile, pensarono, Se è stato tanto bravo nel fare i suoi affari, farà bene anche i nostri. Per “simpatia”. Abboccheranno la seconda? Facciamo le corna.

                                                
                                                                                                              g m






 

mercoledì 15 maggio 2024

L’ontologia mette la toga


 

Sa di greco ma i greci non lo usavano. Il primo ad inventarselo, all’inizio del ‘600, fu Jacob Lorhard, professore svizzero di arti liberali; signore dimenticatissimo. Poi capitò nelle mani di Christian Wolff, seguace di Leibniz, e fu la consacrazione. Vecchio e severo vocabolo, “ontologia”; tanto severo da mettere soggezione. Nel lessico filosofico significa un discorso (logos) teso a rintracciare le strutture profonde dell'essere (ontos); il nocciolo delle cose, insomma; l'essenza. È l'eterna tentazione dell'anima più ambiziosa della filosofia (da Platone ad Heidegger, passando per Hegel e Marx); cui, da sempre, fa da contrappunto la sospettosità dell'anima più disincantata (da Socrate a Popper, passando per Locke e Voltaire). Filosofi tender-minded (menti delicate) e tough-minded (menti dure): così tipizza chi parla inglese; filosofia come discorso sull'essere e filosofia come analisi dell'esperienza. Il “delicato” elabora sistemi generali; il “duro” sta agli scabri fatti constatabili.

Come si sa le parole migrano, sconfinano, colonizzano. Non sorprende dunque trovare l'ontologia anche nel documento con cui il Sindacato Magistrati italiani ha chiuso il suo congresso palermitano. Respingendo ogni possibile ipotesi di separazione delle carriere, l'ANM afferma: L'unicità della magistratura è valore fondante del nostro associazionismo: tale sua caratteristica ontologica è incompatibile con ogni possibilità di mediazione e trattativa sugli specifici contenuti delle riforme. Enunciazione solenne: ogni separazione dei Pubblici Ministeri (magistrati che indagano) dal resto della categoria, li porterebbe fatalmente nella sfera di influenza del potere politico-governativo, con serissime conseguenze sul “controllo di legalità” che i magistrati - indaganti o giudicanti - devono esercitare senza guardare in faccia nessuno. Di passaggio, ricorderemo che la descritta deformità esiste in Inghilterra, Canada, Svezia, Germania, USA, Portogallo, Spagna, Australia, Giappone, Nuova Zelanda; e, nei fatti, in Francia.

Ora, siccome la filosofia ha due anime (e forse di più), passeremo dal discorso sull'essere all’analisi dell'esperienza, la quale, avendo la “mente dura”, per organizzarsi ricorre spesso alla sotto-categoria ontologica dei fatti e dei numeri. In Italia è rarissimo che un Giudice delle indagini preliminari prenda decisioni diverse da quanto chiesto dal PM (rinvio a giudizio o archiviazione); quando lo fa sono clamori (caso Perna a Milano); nella cosiddetta Udienza preliminare, dove, in seconda battuta, si vaglia l’opportunità di spedire qualcuno a processo, i casi in cui il Giudice delude il PM non arrivano al 3% del totale; se poi si guardano gli esiti dei processi di primo grado, si scopre che nel 50,05% dei casi l'imputato viene assolto. Oggi, PM e Giudici passano la loro vita negli stessi palazzi e pertinenti corridoi, fanno gli stessi concorsi, partecipano agli stessi corsi di aggiornamento; i maligni aggiungono all’elenco anche le pause-caffè; durante i primi dieci anni di carriera possono - per una volta - passare dall'uno all'altro ruolo; e, per finire, vengono ogni quattro anni valutati da un Consiglio Giudiziario distrettuale (una sorta di CSM locale) eletto da loro stessi medesimi; un organo “misto” dove le valutazioni si incrociano: Pubblici Ministeri valutano Giudici; e Giudici, Pubblici Ministeri. Risultato? Il 99,2% viene promosso. Che significa che tutti arrivano a fine carriera con medesimi, sostanziosi stipendi e pensioni. A prescindere. Ce ne è abbastanza per farsi venire il ragionevole dubbio che quando entra in aula, il Magistrato giudicante veda il Magistrato indagante leggermente più alto dell'Avvocato difensore?

I dirigenti dell' ANM avrebbero anche potuto scrivere che “l'unicità delle carriere è caratteristica essenziale della Magistratura”. Ma non hanno resistito: vuoi mettere un “essenziale” con un “ontologico”?


                                                                                             gigi monello

domenica 14 gennaio 2024

L'ospedale che non cura



Che pensereste di un Ospedale che, dopo un soggiorno ricco di ogni comfort, dimettesse i suoi pazienti senza averli curati? Tutto il male possibile, crediamo. È in questo parallelo (p.62) la migliore sintesi del recente libro sulla Scuola di Giorgio Ragazzini (Una scuola esigente. Educazione, istruzione, senso civico, Rubbettino, 2023). Da tempo la scuola italiana manca l' obiettivo di fondo: guarire i suoi “ospiti” dal naturale male della immediatezza. Deliziosa qualità da piccoli; pericoloso difetto da grandi. Egocentrismo, pre-logicità, impulsività, suggestionabilità.
Il sole gira; il bastone si spezza nell'acqua; la terra è piatta; i vaccinati si ammalano come i non vaccinati. Apparenze ingannevoli; il mondo ne è pieno. E sono in tanti a sguazzarvi. A novembre 2021 c'erano in Italia 39 milioni di vaccinati contro otto milioni di non vaccinati; e la quota di vaccinati ospedalizzati ha superato quella dei non vaccinati; è l'effetto paradosso: nessun vaccino copre il 100%; cosa risaputa; ovviamente non puoi guardare le cifre assolute e ignorare le percentuali. Basterebbe una scuola media appena appena presentabile, per uscire dotati di queste "guarnizioni" intellettuali. Quel che non succede oggi. 
Certo, l'immediatezza, cognitiva e affettiva, è un ventre caldo dal quale si esce a fatica: ci vuole studio, impegno; sforzo; disciplina; fallimenti; riprese; la faccenda procura frustrazione. Quanto è complicato il mondo: uno dice che i salari sono aumentati; un altro che prezzi di beni e servizi lo hanno fatto di più. Capire è faticoso. Analizzare stanca. Scrive l'autore, “Educare significa fondamentalmente due cose: vicinanza affettiva e allenamento alla realtà.” (p. 19). E la realtà è fatta di cose esterne spesso opache e imbrogliate; e di altri uomini spesso niente affatto disposti al dono, alla benevolenza; o alla sincerità.
L'immagine dell'Ospedale che non cura, evoca (inevitabile) Don Milani; la sua celebre denuncia contro la Scuola che boccia i più deboli. Beffardi rovesci del destino. Il suo ideale oggi si è pienamente realizzato: nessuno rischia di stare fuori; tutti saldamente dentro; tutti indifferentemente abbandonati all'allegro caos socio-educativo da cui tutti escono impugnando il successo formativo. Chissà cosa penserebbe di questa scuola/2023 Don Lorenzo; sul pensiero del quale, l'autore chiarisce, una volta di più, storici equivoci e comode, pluridecennali distorsioni (p. 41 e sgg.).

Ragazzini ci conduce in viaggio nell'universo gelatinoso della scuola indulgente: tempo dissipato in una miriade di “educazioni a qualche cosa”, con immancabile esperto in passerella (“...è semplicemente impensabile dare spazio anche solo a una parte di questa alluvione di temi (…) senza togliere ai docenti il tempo (…) per svolgere i programmi”, p. 84); occupazioni e autogestioni come consolidato, puntuale obbligo stagionale (p.86; 101 e sgg.); lezione frontale declassata a risibile vecchiume da abbandonare a favore di più smaglianti forme di edutainment (p. 142 e sgg.); scrutini finali con voti plasmati “a fantasia”, tanto da docenti benevoli (bocciare? sarebbe un trauma), quanto da Dirigenti ventilanti possibili danni “materiali” (bocciare? perdiamo cattedre) (p. 61 e sgg); diritto a copiare, diffuso, tollerato, giustificato, quasi legittimato; tanto durante l'anno come agli esami (le vie della socializzazione sono infinite) (p.77 e sgg.); comportamenti rubricabili come cronica selvatichezza; e corrispondente rassegnazione di adulti disarmati da una normativa cieca (“I comportamenti scorretti degli studenti si situano in un continuum di gravità molto ampio. A un estremo ci sono gli episodi gravissimi (…), all'altro quella che possiamo chiamare micro-indisciplina”, p.98); dilagare furbo di alunni certificati DSA (disturbi specifici dell'apprendimento), e successivo tsunami – furbissimo – di brevettati BES (bisogni educativi speciali); un palese insulto alla verità dei fatti, con connesso, pauroso aumento dei carichi burocratici (“Se per i disturbi specifici dell'apprendimento (...) si è verificata una vera e propria epidemia di diagnosi, fu subito chiaro quale alluvione di casi ci si doveva aspettare con la normativa sui BES”; pp. 118-119). Considerata l'elasticità del concetto, chiunque può sperare di mutarsi in Bes, cioè aspirare a servirsi di quella triste magia che trasforma in “diversamente sufficiente”, un profitto insufficiente .

La retorica del “purché sia nuovo”, intanto, macina, impasta e cuoce senza posa altre trovate: tutor, orientatori, potenziamenti digitali; persino educazione alle relazioni (tornassimo a far leggere i Promessi Sposi…).
L'ospedale accoglie tutti ma non cura nessuno. Come dice l'autore, a farne le spese sono soprattutto i meno socialmente supportati (“Nel corso degli anni in molti hanno avvertito che una scuola del genere – che vorrebbe essere inclusiva – danneggia proprio i ragazzi delle famiglie più svantaggiate culturalmente, il cui unico ascensore sociale è rappresentato da un'istruzione approfondita”; p.12).
L'ospedale accoglie ma non cura. Viene in mente il Priore di Barbiana, ma anche quel notissimo passo del Gorgia di Platone, dove una parte della Politica (l'attività giudiziaria) è paragonata all'arte del medico, e la Retorica all'arte del cuoco. Da buoni 25 anni campiamo di gastronomia.

                                                                                                        gm

 

sabato 26 agosto 2023

Fatali inconvenienti del non sapere la storia

 


A fine settembre 1502, quattro signorotti dell'Italia centrale al servizio di Cesare Borgia, avendo visto il loro padrone – che già s'era preso la Romagna – prendersi anche Urbino e Camerino e fare calcoli su Bologna, temendo di fare la stessa fine, si trovarono con altri scontenti alla Magione, sul lago Trasimeno; e lì ordirono una congiura per abbatterlo. 
Dopo i primi successi militari, sorsero però ripensamenti e il gruppo dei congiurati si sbandò. Subito, il Capitano della Chiesa tese loro la mano, proponendo di tornare amici e confermandogli terre e stipendi. Un incontro fu fissato a Senigallia, per il 31 dicembre; con ricco cenone - immaginiamo - a suggello della ritrovata armonia.

Oliverotto, Vitellozzo, Francesco e Paolo Orsini si presentarono all'appuntamento e vennero affabilmente accolti. Dopo una decina di minuti di sorrisi e convenevoli, improvvisamente il Duca si allontanò e i quattro furono circondati e legati. Oliverotto e Vitellozzo furono garrotati quella notte stessa (brutto capodanno), spalle contro spalle, con un unico laccio e torcolo. Per i due Orsini, ragioni politiche suggerirono di ritardare lo strangolamento di tre settimane.

Il notissimo – e mitologizzato – segretario fiorentino (Ser Nicolò), in missione sul posto, fece - abbagliato dall'energia - scrupoloso racconto al suo governo della bravura di quel Principe.
Lo stato-opera d'arte di Cesare Borgia si sfasciò sette mesi dopo e lui, terminati vagabondaggi e carcerazioni, andò a morire ammazzato in Navarra, circa 4 anni dopo, mercenario al servizio di un suo cognato.

Dai Babilonesi ad oggi, la storia è piena di parole date e non mantenute, di vassalli ribelli “perdonati”; di tiranni trionfanti e, all'apparenza, duraturi. Si tratta solo di avere l'occasione - e la pazienza - di studiarla.


                                                                                                                       gm