mercoledì 15 maggio 2024

L’ontologia mette la toga


 

Sa di greco ma i greci non lo usavano. Il primo ad inventarselo, all’inizio del ‘600, fu Jacob Lorhard, professore svizzero di arti liberali; signore dimenticatissimo. Poi capitò nelle mani di Christian Wolff, seguace di Leibniz, e fu la consacrazione. Vecchio e severo vocabolo, “ontologia”; tanto severo da mettere soggezione. Nel lessico filosofico significa un discorso (logos) teso a rintracciare le strutture profonde dell'essere (ontos); il nocciolo delle cose, insomma; l'essenza. È l'eterna tentazione dell'anima più ambiziosa della filosofia (da Platone ad Heidegger, passando per Hegel e Marx); cui, da sempre, fa da contrappunto la sospettosità dell'anima più disincantata (da Socrate a Popper, passando per Locke e Voltaire). Filosofi tender-minded (menti delicate) e tough-minded (menti dure): così tipizza chi parla inglese; filosofia come discorso sull'essere e filosofia come analisi dell'esperienza. Il “delicato” elabora sistemi generali; il “duro” sta agli scabri fatti constatabili.

Come si sa le parole migrano, sconfinano, colonizzano. Non sorprende dunque trovare l'ontologia anche nel documento con cui il Sindacato Magistrati italiani ha chiuso il suo congresso palermitano. Respingendo ogni possibile ipotesi di separazione delle carriere, l'ANM afferma: L'unicità della magistratura è valore fondante del nostro associazionismo: tale sua caratteristica ontologica è incompatibile con ogni possibilità di mediazione e trattativa sugli specifici contenuti delle riforme. Enunciazione solenne: ogni separazione dei Pubblici Ministeri (magistrati che indagano) dal resto della categoria, li porterebbe fatalmente nella sfera di influenza del potere politico-governativo, con serissime conseguenze sul “controllo di legalità” che i magistrati - indaganti o giudicanti - devono esercitare senza guardare in faccia nessuno. Di passaggio, ricorderemo che la descritta deformità esiste in Inghilterra, Canada, Svezia, Germania, USA, Portogallo, Spagna, Australia, Giappone, Nuova Zelanda; e, nei fatti, in Francia.

Ora, siccome la filosofia ha due anime (e forse di più), passeremo dal discorso sull'essere all’analisi dell'esperienza, la quale, avendo la “mente dura”, per organizzarsi ricorre spesso alla sotto-categoria ontologica dei fatti e dei numeri. In Italia è rarissimo che un Giudice delle indagini preliminari prenda decisioni diverse da quanto chiesto dal PM (rinvio a giudizio o archiviazione); quando lo fa sono clamori (caso Perna a Milano); nella cosiddetta Udienza preliminare, dove, in seconda battuta, si vaglia l’opportunità di spedire qualcuno a processo, i casi in cui il Giudice delude il PM non arrivano al 3% del totale; se poi si guardano gli esiti dei processi di primo grado, si scopre che nel 50,05% dei casi l'imputato viene assolto. Oggi, PM e Giudici passano la loro vita negli stessi palazzi e pertinenti corridoi, fanno gli stessi concorsi, partecipano agli stessi corsi di aggiornamento; i maligni aggiungono all’elenco anche le pause-caffè; durante i primi dieci anni di carriera possono - per una volta - passare dall'uno all'altro ruolo; e, per finire, vengono ogni quattro anni valutati da un Consiglio Giudiziario distrettuale (una sorta di CSM locale) eletto da loro stessi medesimi; un organo “misto” dove le valutazioni si incrociano: Pubblici Ministeri valutano Giudici; e Giudici, Pubblici Ministeri. Risultato? Il 99,2% viene promosso. Che significa che tutti arrivano a fine carriera con medesimi, sostanziosi stipendi e pensioni. A prescindere. Ce ne è abbastanza per farsi venire il ragionevole dubbio che quando entra in aula, il Magistrato giudicante veda il Magistrato indagante leggermente più alto dell'Avvocato difensore?

I dirigenti dell' ANM avrebbero anche potuto scrivere che “l'unicità delle carriere è caratteristica essenziale della Magistratura”. Ma non hanno resistito: vuoi mettere un “essenziale” con un “ontologico”?


                                                                                             gigi monello

2 commenti:

  1. La migrazione del termine ontologia, parola assai importante nella cultura filosofica, in ambito giudiziario potrebbe svolgere un ruolo utile e di rinnovamento della magistratura se lo si adattasse in modo efficace al nuovo contesto. Una questione ontologica nelle scienze giuridiche potrebbe per esempio riproporre la riflessione sul ruolo che svolge la Legge nel giudicare il comportamento umano valutando la responsabilità dell'individuo e dei rapporti sociali con obiettività ontologica. Se la Giurisprudenza si appropriasse di problematiche ontologiche nei modi complessi come sono state affrontate dalla letteratura (Kafka, Musil, Gadda, per fare alcuni esempi) la formazione dei magistrati sarebbe certamente più solida e incorrerebbe con meno frequenza negli errori giudiziari, grandi e piccoli, che spesso dipendono da una preparazione dilettantesca, come tu stesso Gigi hai potuto riscontrare nella vicenda giudiziaria che ti ha ingiustamente coinvolto.
    Sappiamo però che viviamo la fase liquida della società moderna dove le parole corrono in libertà di bocca in bocca, da un contesto a un altro, e si consumano senza lasciare tracce significative. Purtroppo sembra questo il destino riservato anche alla parola ontologia in ambito giuridico che è stata fini a questo momento abusata per difendere una posizione ideologica ( di privilegio?) per rifiutare la separazione delle carriere, del giudice dal pubblico ministero. Ma discutere della separazione o meno della carriere non è una questione ontologica ma semmai è una faccenda burocratico-amministrativa. Se la parola ontologia venisse accettata con le conseguenze complesse che essa implica in ambito giuridico ne sarebbe migliorata la formazione dei magistrati che da quello che si sa danno, in generale, esempi di preparazione modesta non all'altezza del ruolo che occupano. Se è vero, come purtroppo lo è, che ai concorsi riservati ai posti più ambiti della magistratura i candidati evidenziano agli scritti sia una conoscenza della lingua italiana approssimativa con tanti strafalcioni sia una cultura giuridica nozionistica e schematica. Altro che ontologia!

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  2. è vero, Tullio, più che di ontologia qui si sentirebbe il bisogno di antologia (senza generalizzare, ovviamente). Grazie per il succoso intervento.

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