Procurarsi gli attrezzi per la bisogna non fu cosa difficile: due pentole, un tubo di ferro e un bloccasterzo. La coppia di cinquantenni benestanti fu tramortita di sera, al rientro a casa, e poi finita con ripetuti colpi sulla testa. Non fu cosa veloce: quasi un’ora di agonia. Era il 1991; i responsabili furono trovati in poco tempo: quattro ragazzi della provincia veronese; uno di loro, il più grande (20 anni), era il figlio dei martirizzati. Un dilettante: la simulazione del furto apparve subito goffa, e lui stranamente freddo. Avevano una colpa, i suoi genitori; imperdonabile: sarebbero verosimilmente campati ancora a lungo; impossibile aspettare tanto per ereditare. Il figlio - l'ideatore - prese trent’anni. Ne fece 22 e, nel 2013, uscì. Cinquantenne, oggi vive tranquillo, lavora, si diverte il giusto (supponiamo); forse frequenta ancora discoteche. Ha detto di essersi pentito. Può essere. Tuttavia riesce difficile giudicarlo una “bella persona”.
Veniamo ad anni più vicini e consideriamo un secondo “dilettante” del crimine, quasi coetaneo del primo. Storia assai diversa: politicamente imbevuto di ideologia anarco-insurrezionalista, si è da tempo convinto che, per educare le masse, occorra colpire i simboli dello Stato; nemici a caso; non importa chi siano; bersagli a prescindere; basta che rappresentino il male. Nel 2006 piazza due bombe davanti alla caserma dei Carabinieri di Fossano (Cuneo) e alla contigua Scuola Allievi. Gli ordigni, programmati per esplodere a 25’ l’uno dall’altro (vecchio trucco), lo fanno; ma esperienza dei “destinatari” e fortuna, vogliono che nessuno ne riporti un graffio. Tempi mal calcolati? Forse. Nel 2012 dopo aver gambizzato a Genova un dirigente Ansaldo, viene preso e da allora sta in carcere. Per coerenza etico-politica, non si è mai pentito. Anche in lui non riesce facile vedere una “bella persona”. Con una differenza: le intenzioni del primo soggetto sono transitate nel mondo dei fatti; quelle del secondo, no. Chi lo difende, dice, “Non ha mai ammazzato nessuno”. Meglio sarebbe dire, “Non gli è mai riuscito…”. Ma qualunque cosa si voglia pensare, un fatto resta netto e solido: non ha morti ammazzati di cui rispondere.
Confrontiamo i diversi destini: al primo, 22 anni di galera; al secondo ergastolo ostativo (41 bis); una quasi morte. La Giustizia penale ha da essere retributiva, cioè aritmetica, cioè proporzionale. Se qualcuno ci spiegasse l’arcano.
gigi monello
Sono d' accordo. Per Cospito tra l' altro, la tentata strage è stata equiparata di fatto alla strage effettuata, con evidente obbrobrio giuridico. Forse per questo era stato messo, in modo molto discutibile, in un carcere per mafiosi al 41bis, pur essendo un politico, quindi durante l' ora d' aria poteva scambiare qualche parola soltanto con i peggiori mafiosi. Ciò però gli viene rimproverato come una colpa, insinuando che sia una prova anche del suo essere mafioso. Doveva cucirsi letteralmente la bocca ? Non c' è verso, in Italia la giustizia sconcerta troppo spesso il buon senso.
RispondiEliminatra poco "festeggeremo" il quarantennale del caso Tortora... il Sistema, di cui ci ha raccontato Palamara, produce queste aberrazioni. Siamo alle solite: c'è una totale irresponsabilità che permette ai magistrati di scarso o mediocre senso morale, di fare praticamente "tutto ciò che gli garba". Tanto...
EliminaPurtroppo hai ragione e non so se riusciremo a uscire da questa assurda situazione. Qualche Partito politico dovrebbe fare un esame di coscienza.
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