Insondabili congiunture internettiane hanno rimesso in circolazione l'argomento con cui Umberto Galimberti auspicava, due anni fa, la scomparsa dei Promessi Sposi dalla nostra scuola: un'opera che, facendo della Provvidenza l'artefice della storia, manda ai giovani un messaggio di disimpegno. Da quanto si desume dalle immagini, l'esternazione viene fatta proprio davanti ad un uditorio di giovani, che reagisce con un divertito mormorio.
Questo, dei Promessi Sposi come romanzo della Provvidenza divina, è uno dei più triti luoghi comuni che periodicamente dalle aule scolastiche passa sui media. Perché nel romanzo – a leggerlo bene – la Provvidenza è tanto presente nelle parole, quanto assente (o equivoca) nei fatti.
Prendiamo uno dei casi più famosi: il vecchio servitore in casa di Don Rodrigo, che per scrupolo di coscienza, informa Padre Cristoforo delle losche mene del suo padrone (P.S., cap. VI ). Dopo il burrascoso colloquio con il prepotente e l'incontro col servitore, così il frate rincuora i suoi protetti, Nondimeno, confidenza in Dio! … lascia fare a Lui, Renzo; e sappi… sappiate tutti ch'io ho già in mano un filo, per aiutarvi. Per ora non posso dire di più (P.S., cap. VII).
Nella realtà dei fatti quel filo si perde e la scelleratezza fallisce non perché una mano invisibile la fa fallire; ma perché il Caso vuole che due progetti umani (il rapimento di Lucia e il matrimonio a sorpresa) “si imbroglino” nel tempo: dimodoché mentre i bravi tentano di sorprendere Lucia in casa sua, la medesima è, a sua volta, impegnata a sorprendere Don Abbondio in casa propria. Quando, di ritorno a casa (con un palmo di naso), la comitiva dei buoni incontra Menico (l'inviato della Provvidenza), i giochi sono già belli che fatti, visto che gli sgherri, sentite le campane (che non suonano per loro), stanno prestamente tornando (con un palmo di naso) alla loro tana.
E adesso chiediamoci: che sarebbe successo senza Menico? Possiamo immaginarlo: i nostri umili eroi sarebbero rientrati in casa (senza pericolo alcuno di brutti inciampi, visto che i bravi ne uscivano in direzione opposta); avrebbero realizzato che era l'unica del paese ad essere stata manomessa e ne avrebbero tratto la sola logica inferenza possibile: volevano prendere Lucia, che per pura combinazione (miracolo?) è salva. A questo punto, il buon Padre Cristoforo, non appena informato, avrebbe subito dato, pari pari, lo stesso ordine impartito a mezzo Menico; far subito scomparire la minacciata. Ruolo della Provvidenza? Praticamente zero. A meno che a qualcuno non venga voglia di obiettare che, senza diretto avviso, i nostri contadini sarebbero rimasti nel dubbio di un furto. La saggezza probabilistica dei villani di Lombardia, non doveva essere, nell'ottocento, inferiore alla nostra.
Vediamo un'altra famosa prova di Provvidenza all'opera: la pessima fine di Don Rodrigo e del Griso; spacciati dalla Peste. Sfortunatamente, però, muoiono di peste anche l'ottimo padre Cristoforo e l'innocente Cecilia, la bambina che mani pietose di madre depongono sul carro dei monatti. Nei fatti, la Peste del Manzoni colpisce a casaccio: è spietatamente a-finalistica.
Ma il Provvidenzialista non demorde e, a questo punto, tira fuori il suo asso dalla manica: la conversione dell'Innominato e la seguente salvezza di Lucia. Chi, se non Dio, ha toccato il cuore del malvagio? C'è però un dettaglio: a Manzoni servono la bellezza di circa 20 pagine di romanzo per descrivere quella crisi; e il lavorio su spinte, controspinte e gradazioni nella psicologia del personaggio, è talmente preciso, penetrante, positivista, da lasciare nel sospetto che il noto furfante al cubo la conversione se la possa anche essere faticata da solo (P.S., capp. XX-XXI). Succede, qui, qualcosa di analogo a quanto accade con i discorsi di certi biologi impegnati a conciliare evoluzionismo ed esistenza di Dio: il collo della giraffa africana o il becco di un fringuello sudamericano? Stavano da sempre nella mente di Dio. Si capisce. Ma, per arrivarci, l'Onnipotente ha lasciato che agissero cause puramente naturali (la selezione); poteva mica occuparsi di ogni minimo dettaglio.
Cancellare i Promessi Sposi dalle scuole? La penso esattamente all'incontrario: quel libro ha meriti educativi indubbi; e sono meriti laici. E se – per dirne un'altra – frugo nella mia memoria, non trovo una esperienza formativa più capace di far provare ripugnanza verso i mascalzoni, delle pagine in cui si descrive l'impasto di frustrazione e prepotenza di cui è fatto Don Rodrigo. Togliere i Promessi Sposi dalle mani degli adolescenti? Sbagliatissimo. Che lo leggano; tutto e bene (c'è pure tanto italiano e tanta buona logica da imparare). Magari passando, dopo, a Kerouac.
E adesso chiediamoci: che sarebbe successo senza Menico? Possiamo immaginarlo: i nostri umili eroi sarebbero rientrati in casa (senza pericolo alcuno di brutti inciampi, visto che i bravi ne uscivano in direzione opposta); avrebbero realizzato che era l'unica del paese ad essere stata manomessa e ne avrebbero tratto la sola logica inferenza possibile: volevano prendere Lucia, che per pura combinazione (miracolo?) è salva. A questo punto, il buon Padre Cristoforo, non appena informato, avrebbe subito dato, pari pari, lo stesso ordine impartito a mezzo Menico; far subito scomparire la minacciata. Ruolo della Provvidenza? Praticamente zero. A meno che a qualcuno non venga voglia di obiettare che, senza diretto avviso, i nostri contadini sarebbero rimasti nel dubbio di un furto. La saggezza probabilistica dei villani di Lombardia, non doveva essere, nell'ottocento, inferiore alla nostra.
Vediamo un'altra famosa prova di Provvidenza all'opera: la pessima fine di Don Rodrigo e del Griso; spacciati dalla Peste. Sfortunatamente, però, muoiono di peste anche l'ottimo padre Cristoforo e l'innocente Cecilia, la bambina che mani pietose di madre depongono sul carro dei monatti. Nei fatti, la Peste del Manzoni colpisce a casaccio: è spietatamente a-finalistica.
Ma il Provvidenzialista non demorde e, a questo punto, tira fuori il suo asso dalla manica: la conversione dell'Innominato e la seguente salvezza di Lucia. Chi, se non Dio, ha toccato il cuore del malvagio? C'è però un dettaglio: a Manzoni servono la bellezza di circa 20 pagine di romanzo per descrivere quella crisi; e il lavorio su spinte, controspinte e gradazioni nella psicologia del personaggio, è talmente preciso, penetrante, positivista, da lasciare nel sospetto che il noto furfante al cubo la conversione se la possa anche essere faticata da solo (P.S., capp. XX-XXI). Succede, qui, qualcosa di analogo a quanto accade con i discorsi di certi biologi impegnati a conciliare evoluzionismo ed esistenza di Dio: il collo della giraffa africana o il becco di un fringuello sudamericano? Stavano da sempre nella mente di Dio. Si capisce. Ma, per arrivarci, l'Onnipotente ha lasciato che agissero cause puramente naturali (la selezione); poteva mica occuparsi di ogni minimo dettaglio.
Cancellare i Promessi Sposi dalle scuole? La penso esattamente all'incontrario: quel libro ha meriti educativi indubbi; e sono meriti laici. E se – per dirne un'altra – frugo nella mia memoria, non trovo una esperienza formativa più capace di far provare ripugnanza verso i mascalzoni, delle pagine in cui si descrive l'impasto di frustrazione e prepotenza di cui è fatto Don Rodrigo. Togliere i Promessi Sposi dalle mani degli adolescenti? Sbagliatissimo. Che lo leggano; tutto e bene (c'è pure tanto italiano e tanta buona logica da imparare). Magari passando, dopo, a Kerouac.
Gigi Monello
Pur apprezzando Galimberti in tante altre analisi sulla modernità, questa volta non c'ha azzeccato neanche un poco. Condivido del tutto il tuo giudizio, Gigi, e trovo la sua analisi così debole da sembrare uno sfogo di uno sprovveduto. Se pur l'opera del Manzoni avesse avuto l'influsso negativo sui giovani da Lui denunciata, sarebbe un complimento concesso al Romanzo in quanto capace di suggestionare le menti. Quindi, a parte la superficialità dell'analisi, Galimberti sbaglia anche l'idea che ha della scuola secondaria che da tempo ha rinunciato allo studio serio dei testi in quanto si privilegia l'informazione spicciola delle competenze fasulle a danno della conoscenza seria. Come potrebbe il Romanzo in questione aver suscitato un ruolo così negativo sui giovani se la qualità dell'apprendimento è così mediocre?
RispondiEliminaesattamente, anche concedendo la validità della premessa, l'argomento non sta in piedi. Io credo che abbia ceduto ad un eccesso di desiderio di "captatio benevolentiae". Poi, lui stesso dice che è "alta letteratura" e che il romanzo è "bellissimo"... insomma non sembrava convinto -neppure lui- di quanto diceva.
EliminaSto poco bene e l'ultima cosa che vorrei fare è occuparmi dei Promessi sposi, capaci di evocarmi solo l'idea di vecchiume, tranne che per la capacità del Manz. di penetrazione psicologica. La sola cosa che mi interessa ora, a parte is contus, è la geopolitica e il metaverso, che attraverso le pp dell' ultimo num. di DOMINO (rivista geop.) ho scoperto essere collegati tra loro e anche col tema, a me caro, della profezia che si autoadempie (in estrema sintesi). Ciao
RispondiEliminaricordo di aver letto che Gadda, oramai quasi morente, se li faceva leggere da giovani estimatori che andavano a trovarlo; e ogni tanto sorrideva felice.
EliminaSe Galimberti considera il Romanzo in questione alta letteratura il suo giudizio appare ancor più contraddittorio in quanto quel valore negativo che attribuisce ai Promessi Sposi, di inibire la responsabilità dei giovani, sarebbe ripagato da altre virtù formative. Le quali se ottenute con un percorso serio di studio renderebbero vana anche quella macchia minacciosa che corromperebbe le nuove generazioni. Il disorientamento di queste non dipende certo dalla lettura di certi libri, lettura assente nella stragrande maggioranza dei ragazzi e degli adulti e poco frequentata anche nelle aule dell'attuale scuola-azienda sia dagli alunni che dagli insegnanti.
RispondiEliminaE' sorprendente che un intellettuale-filosofo, di notorietà internazionale, che cita Nietzsche ogni dieci righe, si sbarazzi del capolavoro del Manzoni in nome di valori proclamati con criteri di giudizio obsoleti. Galimberti dovrebbe impegnare il suo ruolo in una campagna di lotta civile per riformare la scuola in cui i testi del sapere siano veramente letti e approfonditi in modo indipendente dai valori che esprimono.
concordo Tullio, credo proprio che abbia ceduto alla malattia televisiva di cui ben sappiamo e che ben potremmo battezzare "sgarbiorsinite"
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