lunedì 2 settembre 2019

Boldretti & Fumetti


Se il tono è quello beffardo annunciato e mantenuto nel decorso dell’intera opera, il taglio è quello dell’inchiesta giornalistica, condotta con rigore scientifico, documenti alla mano; un report dettagliato sulle conseguenze delle riforme prodotte da consessi di pseudo-esperti all’interno della scuola nell’ultimo ventennio. Il lavoro solleva la cortina di fumo che soffoca il nostro sistema educativo; denuncia e critica, senza riserve, lo sfascio e le connivenze prodotte al suo interno, con risultati che ostinatamente vogliamo continuare a ignorare. Gli avventori dei tanti ‘bar dello sport’, che popolano città e periferie, sono metafora di un paese, dove non sarà più sufficiente cambiar ‘li statuti rei’ per modificarne la rotta. L’analisi - l’autore non è nuovo a tali indagini - evidenzia con superiore studio i meccanismi e le dinamiche che sottendono agli insani comportamenti dei dirigenti addestrati a far quadrare numeri umani e bilanci fiscali ; il clima di sudditanza in cui sono costretti ad operare i docenti incapaci di reagire con forza e unità alle criptiche disposizioni ministeriali, che si accavallano con frequenza imbarazzante; il gioco della banda dei Boldretti che con i loro stili pret-à-porter sfilano e all’occorrenza si defilano; l’epidemia di cecità che ha colpito le famiglie noncuranti delle nudità dei propri figli. Un libro in cui non si salva nessuno; una messa alla sbarra che parte dai ‘nomi’ per arrivare agli uomini. Colpevoli tutti, con sentenza passata in giudicato.

Paola Murru
Liceo "Motzo", Quartu Sant'Elena

mercoledì 21 agosto 2019

lettera all'autore






Quando sento la parola “pedagogista” metto mano alla pistola
(A. Bertozzi)

A lavà il cjaf al mus si bute vie la aghe e si infastidis le bestie.
"Se si lava la testa all'asino si spreca l'acqua e si rischia di infastidire l'animale".
(Proverbio friulano)


Carissimo,
lupus in fabula, proprio venerdì sera sono finalmente riuscito a procurarmi il tuo aureo libretto (per dimensioni e non certo per contenuti). L’ho letto (e credo che lo rileggerò), che dire … oltre al fatto che è esilarante e deprimente insieme, come già ti dissi concordo parola per parola. Sono del ’54, ma insegno solo dal 2004 (prima ho fatto vari mestieri totalmente differenti e forse questo mi ha vaccinato contro una certa autoreferenzialità un po’ diffusa tra i colleghi) e una parte della “storia” che racconti non l’ho vissuta in presa diretta, cionondimeno il quadro che ne vien fuori è chiarissimo, siamo ormai passati da produttori (homo faber) a meri consumatori (homo rincoglionitus) e la scuola deve adeguarsi. Credo che la 107 abbia dato il colpo di grazia a un corpaccione ormai in fin di vita. Sono pessimista non vedo soluzione nel breve o medio periodo, quanto al lungo beh … facciamo gli scongiuri (mi pare ne parlasse Keynes).

Ho visto la rassegna stampa, fa piacere che ci sia in giro ancora un po’ di buon senso, qualcuno che si rende conto dello sfascio irrimediabile, ma sono, siamo, vox clamantis in deserto, la scuola non è una priorità per nessuno, compreso Presidi e colleghi. Tra i colleghi in particolare, molti hanno aderito alla nuova religione (pochi per convinzione, molti per convenienza) e gli altri si possono declinare tra il quieto vivere, il menefreghismo, il fancazzismo, la rassegnazione, l’acquiescenza, la pavidità, il tirare a campare (che è sempre meglio che tirare le cuoia, si sa, ma francamente questo pseudo cinismo cialtrone ormai mi ha stufato). Come dici tu si tratta di misticismo, di religione nella sua versione peggiore: dogmatica, autoritaria, priva di umorismo e intollerante verso qualsiasi critica. Anni fa un prete mi disse: la fede non si dimostra né tanto meno si impone, si può solo testimoniare, ecco… in bocca a un prete ho apprezzato la frase, mi sembrò segno di onestà intellettuale, ma stavamo parlando di altro e tra l’altro di qualcosa che viene da una tradizione millenaria, mica di scuola e didattica.
Siccome non mi piace parlare, e soprattutto pensare, a vanvera, mi son fatto regalare da Renzi il libro della Fondazione Agnelli che rappresenta lo “stato dell’arte” in Italia sulla faccenda delle competenze. Errori concettuali e logici, confusioni storiche ed epistemologiche, approssimazione, fuffa, una delle cose più desolanti che abbia mai letto. La questione è totalmente, inesorabilmente, irrimediabilmente insensata. Alla stessa conclusione arriva Carosotti (che tra l’altro non so bene chi sia) in un bel pezzo su ROARS che ti allego nel caso ti sia sfuggito.
Un’ultima considerazione sull’ Indire, come ti ho già detto ho cominciato ad insegnare che ero già piuttosto âgée e sono entrato in ruolo (dopo un percorso logisticamente parecchio travagliato) con la famigerata 107, e ho quindi dovuto fare il nuovo anno di prova e formazione. Una cosa ridicola e insieme inquietante, un vero e proprio indottrinamento per i colleghi (pochi) giovani in puro stile Stato Etico, e una imposizione di sottomissione e autocritica nei confronti di quelli più anziani in stile purga staliniana. Io ho cercato di mettere un po’ di sabbia negli ingranaggi e ho risposto e trattato le varie questioni con ironia rimandandole al mittente, e sotto ti allego un esempio[1], per puro sfizio e anche perché non mi andava proprio di umiliarmi scrivendo e facendo quel che Loro si aspettavano. Ho fatto leggere a mio figlio, in corso d’opera, alcuni dei miei scritti e relazioni, e lui si è preoccupato parecchio dicendomi, “non ti fanno superare l’anno di prova”. L’ho rassicurato, nessuno leggerà mai un bel nulla e dovesse proprio andare male ci sarà un Giudice a Berlino.
Il bel libricino di Frankfurt ha un posto d’onore nella mia libreria.
Scusami se ho concionato un pochino ma trovare un interlocutore valido su questi temi è piuttosto difficile
Cordialmente   Buone Vacanze (con la maiuscola)

Angelo

(Angelo Bertozzi - Liceo Motzo - Quartu Sant'Elena)







[1] [Contribuire al superamento di pregiudizi e discriminazioni di natura sociale, culturale o religiosa]

Rilevo purtroppo, con rincrescimento, che nella scuola statale italiana esiste una discriminazione di tipo religioso. La cosa ha un fondamento storico che richiederebbe una disamina lunga ed accurata ma in sintesi: 1870 questione romana, 1929 Concordato (Mussolini), 1948 assorbimento del Concordato nella Costituzione repubblicana (Togliatti), 1984 revisione e conferma del Concordato (Craxi). (E’ interessante notare come i tre politici artefici del Concordato fossero tutti atei, fa riflettere sui problemi cui può portare il cinismo istituzionale perseguito nel nome della realpolitik). Nelle scuole statali italiane oggi (2016) vi è un evidente discriminazione nei confronti degli alunni e dei docenti non cattolici. Agli alunni di religione cattolica viene offerto un insegnamento confessionale a quelli di altre religioni no. (E’ appena il caso di ricordare che nel curricolo scolastico vi è la dizione RC che significa ovviamente, non insegnamento di storia delle religioni, religioni comparate, storia delle idee religiose, e nemmeno di religione cristiana, ma precisamente ed esclusivamente di religione cattolica, questo a prescindere da ciò che effettivamente fanno, o non fanno, i colleghi di religione). Si tratta quindi né più né meno che di catechismo e questo è chiarissimo a fronte della simmetrica discriminazione nei confronti dei docenti non cattolici. Io nonostante i miei titoli e le mie conoscenze (che in materia di religioni sono non disprezzabili) non posso in nessun modo insegnare religione nelle scuole statali in quanto agnostico e divorziato. Si assiste pertanto a questo curioso (e a mio modo di vedere incostituzionale) paradosso, una scuola statale di uno stato liberal-democratico in cui vige una Costituzione che proclama principi di pluralismo e tolleranza, nella quale insegna una pattuglia di catechisti nominati da un ente di diritto privato e pagati naturalmente da tutti i contribuenti. Osservo con amarezza, che a nessuno sembra ne freghi un accidente.




domenica 18 agosto 2019

Scuola & Fuffa


La fabbrica della fuffa


Il sottotitolo è “Lessico fuori dai denti di insegnante a fine carriera”; ma poteva anche essere, “tutto quello che avreste voluto sapere sulla scuola pubblica italiana e che nessuno vi ha mai detto”. Per lo meno, non in modo così schietto, secco, caustico, completo. Ciò che domina è la sferza, sempre però sposata alla ironica resa all’ineluttabile trionfo della pazzia.
Pagina 101: un giorno qualsiasi in un’ aula qualsiasi di una scuola qualsiasi: gentil liceale femmina alle prese con il brutto affare di una interrogazione di scienze: sa poco e niente. Che fare? C’è la tecnologia, caspita. Scambio di sguardi e sussurri con l’amica là a due passi. Che capisce ed esegue: parte l’ SOS via etere; dopo una decina di minuti bussa la bidella: la principessina in pericolo di traumatico brutto voto “deve uscire perché sta male: c’è fuori la mamma in attesa”. La turbo-tele-mamma. La professoressa stranisce ma non perde l’autocontrollo: la ragazza uscirà, è ovvio; ma al termine della verifica.
È uno dei tredici casi di fenomenologia dello sfacelo raccontati da Gigi Monello in un libro dal titolo che proprio non la manda a dire, “La fuffoscuola”. Organizzato in chiave di Glossario (si va dalla A di “autonomia” alla Z di “zittire”, passando per la C di “competenze”, la D di “dirigente”, la I di inclusione, la L di legge 107, la P di “progetto”, la T di “tempo buttato” e via dicendo) e scritto con uno stile scabro e incalzante, il libello (tascabile, 128 pp., 6 euro, lettura da spiaggia, edito da una piccolissima casa editrice cagliaritana) è una gustosa piccola enciclopedia portatile dell'ormai stranoto sfascio della scuola della Repubblica. 
La tesi dell’autore è chiara e tonda: non è questione di applicare meglio, integrare, rifinire, aggiustare. No: è proprio l’dea di base della scuola di questi decenni, la famosa Autonomia, ad essersi rivelata una solenne cantonata; idea, per altro, rimasta intatta pur nel frenetico riformare e controriformare della caterva di ministri tanto sinistri che destri.
Una volta annullato l’obbligo di iscriversi a quella più vicina e creato un libero mercato di potenziali clienti, ogni scuola si è dotata di una non meglio precisata “identità” al fine di competere con le altre captando iscrizioni a spese dei meno attrattivi; e per captare la regola aurea è “fare cose che non odorino di scuola”, cioè darsi all' “arricchimento dell’offerta formativa”, cioè al “di tutto e di più”: viaggi, uscite, teatri, concerti, cinema, conferenze, incontri, giornate a tema, attività, open day, orientamenti, sensibilizzazioni, alternanze S/L, progetti. Il credo indiscusso è questo: per non annoiare i pargoli bisogna adattarsi al gusto loro e allo spirito dei tempi, cioè al continuo circo mediatico internet-televisivo: un frullato dolciastro dell'universo mondo, uno shakerato di tutto con tutto. La mission? Piacere. Il risultato? Un massiccio spostamento di tempo ed energia che ha fatto a brandelli l'insegnamento delle discipline e prodotto un impressionante scadimento del livello medio di preparazione.
Diagnosi troppo severa? Ci pare proprio di no, se è vero, come è vero, che 600 docenti universitari hanno denunciato (febbraio 2017) che nelle attuali tesi di laurea non è raro imbattersi in errori da terza elementare e che l'impoverimento del lessico è talmente spaventoso da scoprire gente che giunge ad ignorare il significato del vocabolo “penultimo”. E se è vero come è vero che l'ultimo rapporto INVALSI sull'istruzione (luglio 2019), ci informa che il 35% degli studenti in uscita dalla scuola media non è più in grado di comprendere il senso di un testo.
Un'ultima sottolineatura da questo libretto al vetriolo: la satira contro un altro dei grandi miti della scuola di oggi: la cosiddetta personalizzazione che, adeguandosi allo stile cognitivo e alle preferenze di apprendimento del singolo, dovrebbe portare tutti all'inconcusso “successo formativo”; concetto assai elastico e nebuloso, e assai suscettibile, anziché no, di venir piegato ai poco nobili fini di un notissimo vizio nostrano: il paraculismo.




G. Monello
La Fuffoscuola
lessico fuori dai denti di
insegnante a fine carriera
Scepsi & Mattana Editori
ISBN 
978-88-906775-6-4
€ 6